Thursday, June 28, 2007

Chi vede il bicchiere mezzo vuoto? E chi mezzo pieno?


Dopo il post precedente sul pessimismo, non poteva mancare un riferimento alla diversa visione fra ottimisti e pessimisti...Però questa classificazione, per quanto mi riguarda è abbastanza obsoleta...La classificazione attuale non dovrebbe più avvenire utilizzando i due aggettivi succitati, ma bisognerebbe effettuare una suddivisione tra Pessimi ottimisti e Ottimi Pessimisti...

Ma qual è la differenza tra queste due categorie di persone? È presto detto. Il “pessimo ottimista” (da non confondersi con il “realista” con il quale si hanno comunque dei tratti in comune) ha un visione del mondo, della vita, e delle persone globalmente negativa (quasi sfiduciata), ma in questa negatività egli cerca di trovare sempre, quotidianamente, il lato positivo: ed è su questa positività (e sulla ricerca di essa) che il “pessimo ottimista” basa la sua esistenza. Non ha importanza, per esempio, se ciò che di positivo ci accade nell’arco di una giornata (di un mese, di un anno, ecc.) sia qualitativamente e quantitativamente inferiore a ciò che ci è accaduto di negativo. L’importante è che sia accaduto; e ancora più importante è prendere, afferrare, questa positività e accumularla quotidianamente, perché questo è il solo ed unico modo che ci permette di superare le difficoltà e di vivere una vita più serena (si badi che ho detto “più serena” e non “totalmente serena”) con noi stessi e con gli altri (anche perché non bisogna dimenticare che in una società come quella di oggi è necessario saper vivere “tra la gente” pur non dovendo e non volendo vivere “per la gente” e che l’isolamento non farebbe altro che acuire ed accentuare la negatività di cui già tutti, volenti o nolenti, siamo circondati). L’ “ottimo pessimista”, invece, vede la negatività in tutto ciò che lo circonda e trova, in ogni cosa, anche in quel poco di positivo che accade, il lato negativo, non facendo altro, in questo modo, che accumulare negatività su negatività, una negatività che all’inizio è minima, ma che, con il passare del tempo, aumenta in maniera esponenziale, portandolo a vivere una vita piena di dubbi ed incertezze che non troveranno mai uno sbocco, mai una risposta, una vita triste di sofferenza autoinferta, insomma, senza quel minimo di felicità (anche perché tutti sappiamo che la felicità assoluta non esiste e che bisogna cogliere al volo, quasi come un “carpe diem” quell’attimo di felicità che comunque attraversa la vita di tutti), necessaria per poter proseguire la propria esistenza in pace con se stessi e con gli altri, “tra la gente” in poche parole. Ecco perché, concludendo, credo che sia meglio vivere una vita da “pessimo ottimista” (anche perché in questo mondo viverla da ottimista assoluto è quasi impossibile) piuttosto che da “ottimo pessimista”. Nel primo caso, attraverso quel che di positivo si riesce a percepire, si riesce anche ad affrontare con più o meno serenità la propria esistenza (cosa da non sottovalutare considerando ciò che sta accadendo in questo giorni intorno a noi); nel secondo caso (accumulando negatività) non si farebbe altro che acquisire e/o aumentare (nel caso già sia presente) la propria depressione che, a lungo andare, potrebbe anche condurre alcuni individui a gesti estremi. Se poi qualcuno, in tutto ciò, riuscirà a vivere la propria vita da “ottimista”, ciò non potrà fare altro che farmi piacere, sperando che in un futuro, non troppo lontano, “ottimisti” lo possiamo diventare tutti, perché vorrà dire che qualcosa nel mondo sarà cambiato (in positivo, ovvio).
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MARCO FLAMMINI

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